Selezione all’entrata, faculty e placement: ecco come un master riceve l’accreditamento Asfor
L’iter, come spiega il segretario generale Mauro Meda, si sviluppa in più fasi e prende in esame diversi fattori. Dalla durata dei corsi alle dotazioni tecnologiche sono tante le voci a incidere. Nell’ultima legge di Bilancio previsti sgravi alle imprese che finanzieranno borse di studio per master post-laurea
«Accreditare un master può essere paragonato alla costruzione di una casa. Ci sono le fondamenta, rappresentate dalla proposta formativa e dall’organizzazione; poi il tetto che potremmo collegare alla solidità dell’istituzione, e infine gli abitanti, che vengono selezionati all’ingresso». Mauro Meda è il segretario generale di Asfor – Associazione italiana per la formazione manageriale: costituita nel 1971, ha come obiettivo quello di sviluppare la cultura di gestione in Italia e di qualificare l’offerta di formazione manageriale, adattandola continuamente alla dinamica della domanda. L’accreditamento Asfor prevede dei requisiti iniziali e almeno cinque settori da valutare e che restituiscono il livello del corso: può trattarsi di un master in general management, un master specialistico, un master in business administration (Mba) oppure uno specialized executive master.
Meda, partendo dalla strettissima attualità l’ultima legge di Bilancio prevede delle novità per il vostro settore.
«Con la legge di Bilancio 2021, il comparto della formazione manageriale ha compiuto un passo decisivo sulla strada del suo riconoscimento formale e sostanziale. La legge, infatti, istituisce un codice Ateco dedicato all’istruzione post-universitaria, alla formazione manageriale, al settore dei master post-laurea ed executive. Istituisce inoltre un credito di imposta per le piccole, medie e grandi imprese che finanzieranno borse di studio per la frequenza di master post-laurea universitari o accreditati da Asfor, Equis, Aacsb. Adesso dobbiamo aspettare l’emanazione del decreto attuativo del Mise che ne disciplini il funzionamento. Un risultato importante, che conferma il valore del sistema associativo di Asfor e dell’accreditamento dei master quale processo in grado di garantire l’eccellenza dei percorsi formativi post-laurea realizzati da scuole di formazione manageriale private diverse dalle università. Si è arrivati alla consapevolezza che formare dei dirigenti preparati rappresenta un punto di vantaggio per tutto il Paese. Il credito di imposta è previsto per il triennio 2021-2023 ed è riconosciuto per un limite di maggior spesa per lo Stato pari a 500.000 euro annui per il 2021, con incremento negli anni a seguire. Che crediamo sarà necessario visto che i 500.000 euro andranno esauriti presto».
A oggi quanti sono i master accreditati Asfor?
«Sono 42. Il nostro processo è attivo dal 1989 e siamo stati la prima associazione europea ad affrontare questa tematica per il mercato interno. Collaboriamo e siamo in rete con Equis e Aacsb, i due enti di accreditamento europeo e statunitense. Tra le priorità “preliminari” che sicuramente devono essere presenti ci sono gli obiettivi e la chiarezza sui risultati finali che si ottengono con il raggiungimento del master. In tante realtà per esempio non viene chiarito quali competenze si raggiungono alla fine del percorso».
C’è qualche altro aspetto preliminare che considerate?
«L’accreditamento riguarda master con almeno tre edizioni alle spalle e ha una durata temporale di massimo cinque anni (in alcuni casi tre). Ogni anno la direzione del master accreditato deve fornire ad Asfor informazioni relative ai partecipanti-selezione, faculty, attività formativa e altri aspetti. Dopo cinque anni occorre ripetere la procedura di accreditamento».
Da dove parte l’iter di valutazione?
«Un primo punto di attenzione è sicuramente la durata del percorso formativo. Lo ricordo, per un master in general management è di 1.200 ore con almeno 500 ore di attività didattica strutturata e 400 ore in stage e tirocini. Per un master specialistico invece è di 1.000 ore complessivo e lo stesso rapporto tra attività in aula e pratica (500 e 400). Per un master in business administration e per uno specialized executive master invece sono 500 ore complessive con un percorso didattico che prevede attività frontali ma anche altre forme di apprendimento. In giro si vedono proposte che non prevedono praticamente lezioni e poi solo stage: quelli non sono master perché a livello internazionale il master ha una struttura con formazione didattica in aula e poi laboratori».
Per quanto riguarda i partecipanti cosa prevede il vostro percorso?
«L’attenzione ai candidati deve essere massima, perché il rischio è ammettere una persona che non è in grado di seguire con efficacia il processo. La selezione parte dalla verifica dei titoli presentati, un test d’ammissione e infine un colloquio. Noi diamo delle linee guida generali ma poi sono le singole istituzioni o business school a decidere come procedere».
Esiste un numero massimo o minimo di partecipanti che consigliate?
«Un’indicazione che diamo è quella di avere minimo 14-15 iscritti perché con un numero inferiore è difficile organizzare o rendere efficaci le esercitazioni. Più aumenta il numero e maggiore deve essere la dotazione della struttura nell’ambito di aule, laboratori e altri spazi. Dopodiché è evidente che 12 persone ben motivate danno un riscontro maggiore di 15 persone tra le quali 3 demotivate, segnale che nella selezione qualcosa non ha funzionato. Per quanto riguarda l’accessibilità economica vale ricordare che le organizzazioni alle quali diamo l’accreditamento hanno accordi con le banche per prevedere pagamenti agevolati».
Un terzo aspetto è sicuramente il percorso di studi.
«Un buon master non rappresenta soltanto una porta aperta verso il mondo del lavoro ma è anche uno stimolo per iniziare un percorso di aggiornamento e crescita continuo. Nell’attività d’aula devono esserci sempre agganci ad aspetti concreti e pragmatici. Si ragiona su casi reali e bisogna rendere gli studenti-iscritti protagonisti dei contenuti. La formula giusta è un mix tra professionalità accademiche e del mondo imprenditoriale. I programmi devono contare su una faculty interna, ovvero su un adeguato numero di docenti stabili in grado di garantire una presenza pluriennale e sistematica alle varie fasi dell’attività formativa (progettazione, docenza, coordinamento e progetti applicativi). Indicativamente si ritiene congruo che sia composta da dieci persone, con esperienza almeno quinquennale. Se ogni anno cambia la faculty significa che qualcosa non va».
Poi due caratteristiche non secondarie: la struttura dell’istituzione e il placement. In che modo li valutate?
«La business school deve avere alle sue spalle una storia, attualizzata da un’adeguata capacità tecnologica e logistica. Faccio un esempio: con l’esplosione della pandemia tutti i nostri accreditati sono riusciti in pochi giorni a portare tutti gli studenti in aule virtuali. Questo perché c’è un’abitudine e una struttura adeguata a questa tipologia di servizio. Un master va valutato su quello che realizza e non solo sulla carta. Chi è strutturato è in grado di seguire i ragazzi in tutte le fasi e non li lascia soli».
Spesso, soprattutto per chi valuta da fuori, il placement appare come il fattore determinante. È così?
«Nelle varie forme contrattuali noi andiamo a valutare il livello di placement sei mesi dopo la fine del master e richiediamo un livello quantomeno dell’80%. Il rapporto con piccoli, medi e grandi gruppi imprenditoriali ed economici è importante. In questo ambito l’Istituzione-scuola deve favorire lo sviluppo di un’associazione di ex alunni del master mettendo eventualmente a disposizione le opportune risorse organizzative. Tale associazione, oltre a svolgere un ruolo di collegamento tra il master e i suoi diplomati, dovrebbe affiancare la scuola nell’organizzazione di incontri ed eventi sulle tematiche di management. Chiediamo sia agli studenti che alle aziende di fornirci un bilancio sulle rispettive esperienze».